Antonio Catalfamo, poeta, scrittore e docente universitario barcellonese, ha pubblicato un ampio saggio dedicato al poeta Antonio Aliberti, originario di Barcellona Pozzo di Gotto, su una rivista accademica argentina, “RILL Nueva Época”, organo della Facoltà di Filosofia e Lettere dell’Università Nazionale di Tucumán. La nota introduttiva è stata tradotta in spagnolo dalla professoressa María del Carmen Pilán, che insegna presso lo stesso ateneo.
Antonio Catalfamo, in una nota fatta pervenire in redazione, inizia col raccontare come per puro caso è entrato in contatto con Antonio Aliberti. Verso la metà degli anni Novanta del secolo scorso, egli inviava per posta (il computer come strumento di comunicazione di massa era ancora di là da venire), dalla Sicilia, le sue poesie, tradotte dalla poetessa e docente universitaria di Pedagogia Lalita Curbelo Barberán sulla rivista cubana «Ámbito», nei Paesi in cui si parlava lo spagnolo. Un giorno gli arrivò un plico che odorava stranamente di profumo da barba, di quelli che si usavano una volta nei saloni da barbiere, contenente due libri di poesie e la seguente lettera:
«San Antonio de Padua 30 settembre 1994
Caro Antonio,
ho ricevuto i tuoi scritti, tutto. Ma tu nemmeno sospetti dove sono andati a cadere questi tuoi scritti. Mi chiamo Antonio Aliberti, sono siciliano e sono nato a Barcellona Pozzo di Gotto. Quando mi strapparono dalla Sicilia avevo dodici anni, adesso ne ho 55 e non sono mai tornato. Abitavo a Via Girone e Vico 1° Girone, a duecento metri di quella spianata che noi chiamavamo i Massalini. Mio nonno è Rosario Cicero o Cicero Rosario come dite voi, e a quel tempo aveva un salone di barberia in Via Girone. Così, vedi, siamo paesani e forse tuo nonno era amico o cliente del mio.
Anch’io sono scrittore, come vedrai dai libri che ti spedisco. E sulla tua opera posso dirti che mi piace molto e mi occuperò di essa. Ma tu mandami i tuoi libri perché le traduzioni che mi hai mandato sono belle ma hanno il linguaggio spagnolo e non hanno invece i giri dello spagnolo argentino. E vorrei tradurle io stesso. Non ti preoccupare, io mi guadagno il pane con le traduzioni: traduco gli articoli dell’Espresso di Umberto Eco per il giornale più importante dell’Argentina, ho tradotto 3 romanzi di Ferdinando Camon e un romanzo e poesie di Dante Maffia, che appare assieme a te in una recensione. Dante è venuto qui in Argentina e siamo stati insieme. Ma ho tradotto molte altre cose: Campana, Pavese, Cattafi e tutti i grandi del ’900. Mandami i tuoi libri, vorrò fare qualche cosa con le tue poesie. Ci comunichiamo, frattanto ricevi un forte abbraccio da
Antonio Aliberti».
Il profumo del plico evocava quello del salone da barbiere di famiglia, nel quale Aliberti aveva lavorato da ragazzino, a Barcellona Pozzo di Gotto e poi in Argentina, prima di diventare un affermato traduttore, un apprezzato poeta e un letterato di primo piano. Aliberti è tornato in Italia nel 2000 per ritirare il Premio Eugenio Montale, a Roma. Rientrato in Argentina, gli è stata diagnosticata una grave malattia, che lo ha condotto alla tomba da lì a poco.
Dopo il primo contatto, Catalfamo ne ha avuto altri con Antonio Aliberti, che ha voluto includerlo, come il più giovane poeta presente, nell’antologia sulla poesia italiana del Novecento che ha pubblicato in Argentina. Assieme a lui, come barcellonese, c’era Bartolo Cattafi.
Nel suo saggio pubblicato dalla rivista universitaria argentina, Catalfamo ha analizzato l’opera poetica di Antonio Aliberti, nel suo rapporto intertestuale con gli scrittori siciliani dell’Ottocento (Giovanni Verga, Luigi Pirandello) e del Novecento (Leonardo Sciascia, Gesualdo Bufalino, Giuseppe Bonaviri, Vincenzo Consolo), e, segnatamente, con il poeta suo concittadino Bartolo Cattafi, al quale Aliberti si richiama esplicitamente nei suoi versi, nonché con lo scrittore piemontese Cesare Pavese, del quale è stato appassionato lettore e traduttore in spagnolo. Il critico ha così individuato, attraverso l’analisi comparativa, «concordanze» e «discordanze» con gli autori menzionati e ha tracciato, attraverso il confronto, le linee di poetica e di estetica seguite da Antonio Aliberti, approfondendo, in particolare, la sua visione del mito greco, derivante dalle sue origini sicule, radicate nella «Magra Grecia».
L’immagine di Aliberti che ne è venuta fuori è quella di un poeta degno erede della cultura greca classica, della concezione del «mito» come «destino» che l’ha caratterizzata, a cui si sono assommate l’influenza araba, derivante dalla cultura dei dominatori saraceni della Sicilia, che riconosce un filo di speranza nell’ambito del «fato», e lo spirito «americano», che Antonio Aliberti ha innestato sul ceppo «magno-greco», in conseguenza della sua esperienza esistenziale e culturale in Argentina.
Antonio Catalfamo conclude la sua nota fatta pervenire in redazione sottolineando che Antonio Aliberti ha ben investito le sue energie intellettuali e umane. La sua patria d’adozione, l’Argentina, gli ha riservato ampi ed autorevoli riconoscimenti quand’era in vita. Ancor oggi, dopo la sua morte, l’attenzione degli ambienti culturali del Paese è concentrata su di lui. In numerosi caffè letterari (fra i quali uno a lui specificatamente intitolato) si riuniscono periodicamente poeti, scrittori, appassionati di letteratura, per letture collettive dei suoi versi. I mass-media continuano a dedicargli programmi. Le sue opere circolano tra il vasto pubblico dei lettori. Le due antologie della letteratura italiana ch’egli ha curato, una concentrata sul Novecento e l’altra dedicata a tutti i secoli, sin dalle origini, sono punto di riferimento obbligato per quanti quotidianamente, a vari livelli, si occupano della cultura del nostro Paese.