“Il Bagatto”.
C’era una volta…
una bella e umile ragazza che viveva in una località marinara alle pendici dell’Etna. Avrà avuto sedici o diciassette anni quando un giovanotto smilzo, con gli occhi neri come la lava spenta, cominciò ad aggirarsi nei pressi di casa sua. Stava in canottiera, era abbronzato e le sue braccia erano schizzate di cemento. Qualche volta anche il naso era sporco di cemento.
Forse temendo di impiastricciarsi anche i capelli, lui portava sempre un cappellino di carta, a forma di barchetta, fatto con fogli di giornale. A fine giornata, aveva preso l’abitudine di chiedere al proprietario del bar dell’angolo il permesso di portare via il quotidiano ormai stropicciato, per poterne fare, il giorno dopo, un nuovo copricapo.
La mattina, mentre lavorava su una impalcatura poco distante dalla porta della casa in cui viveva la ragazza, fischiettava e sorrideva, la guardava, sorrideva e fischiettava. Anche lei lo guardava, ma solo quando lui distoglieva lo sguardo. Era bello quel tempo, per entrambi.
Per farla breve, i due si innamorarono, e dopo pochissimo scapparono insieme.
Andarono a vivere in un garage, perché avevano pochi soldi e non si potevano permettere di pagare l’affitto di una casa vera. Lui continuava a fare il muratore, e sorrideva sempre meno. Dopo nove mesi nacque un bambino e, quando il bambino aveva due anni, nacque un altro bambino, e poi anche una bambina. Intanto lui aveva smesso del tutto di sorridere. Era scocciato perché doveva lavorare per poter mantenere la giovane moglie e i tre figli, e con il lavoro da muratore si stancava molto e guadagnava poco. Allora ebbe un’idea…
Secondo i dati riportati dalla Codacons nel 2020, l’Italia vanta un esercito formato da circa 13 milioni di uomini e donne che, una o più volte nella vita, chiedono la consulenza e l’aiuto di chiromanti specializzati nella lettura delle carte e nella preparazione di filtri e intrugli miracolosi.
Si rivolgono a loro per lenire le pene d’amore, ma anche per risolvere problemi di lavoro e di salute. Spesso perché si sentono vittime di malocchio e, quasi sempre, una volta consultata una maga, ne hanno nientemeno la conferma. Da quel momento lo scopo del credulone sarà quello di contrastare il malocchio, quello della maga sarà, invece, di spillargli quanti più soldi potrà. Forse è ingiusto chiamarlo credulone, o comunque dare al termine un’accezione negativa, perché più che altro si tratta di una persona, appartenente a qualsiasi ceto sociale, che in una determinata fase della sua vita ha necessità di appigliarsi a qualcosa, anche di assurdo.
Gli operatori dell’occulto, un tempo promuovevano la loro attività sulle tv locali o tappezzando intere cittadine con micro volantini con la loro faccia stampata, insieme a promesse di ricchezza, successo in amore e guarigione, e il numero telefonico, ovviamente. Oggi sono diventati social e molti possiedono un profilo fb professionale. A molti di noi sarà capitato di ricevere di tanto in tanto una richiesta di amicizia da parte di una sensitiva. Ultimamente hanno raffinato e variegato l’offerta, c’è addirittura chi si occupa di problemi esistenziali, entrando in losca competizione con psicologi e psicoterapeuti.
Riferendoci allo stesso Codacons, apprendiamo che i maghi sono diffusi per il 28 per cento al sud, il 30 per cento al centro e il 42 per cento al nord. Pare che le regioni meno colpite siano la Basilicata, il Molise e la Valle d’Aosta. Il record è detenuto dalla Lombardia, seguita da Lazio, Sicilia e Campania. Volete sapere quali sono i costi? Le tariffe, ovviamente, sono proporzionali alla prestazione, si parte da qualche decina di euro per la lettura delle carte a migliaia di euro per sofisticati interventi anti malocchio. L’età media dei clienti va dai 30 ai 55 anni.
La Lombardia, dicevamo, detiene il primato per presenza di maghi, e questa informazione chiarisce lo sviluppo della fiaba tratta da una storia vera, anzi verissima, riportata in apertura e interrotta sul più bello.
L’idea del giovane muratore fu quella di partire per cercare fortuna. Per un periodo confabulò con amici, fece interurbane dal telefono a gettoni del bar dell’angolo e passò giornate in silenzio a pensare. Finalmente, una mattina, comunicò alla bella e ingenua moglie che sarebbe andato a Varese per fare il mago.
Il muratore dagli occhi del colore della lava spenta partì. La moglie pianse, i figli erano troppo piccoli e non capirono cosa stesse succedendo e, nei giorni che seguirono, aspettarono invano che lui tornasse. Poi lo dimenticarono.
Il muratore diventò mago.
Ogni tanto telefonava al bar dell’angolo e chiedeva al proprietario che chiamasse la moglie per parlarle. Raccontava con entusiasmo di aver comprato una volta una moto nuova, una volta un appartamento.
Mandava anche soldi a casa, non molti, ma li mandava. Non sempre, però. E lei era costretta a fare umili lavori per poter comperare il pane ai bambini.
Passarono gli anni. Lui diventava sempre più ricco. Diventò collezionista di moto e di appartamenti.
Ogni tanto tornava a casa, ma per pochi giorni.
Poi non tornò più, e non mandò più soldi. Intanto i figli, che non vedevano quasi più il padre ma subivano il peso della sua esistenza, manifestavano segni di disagio, in particolare il più grande.
Passarono molti anni, i bambini, ormai uomini, misero su famiglia, e la moglie era invecchiata considerandosi sempre la moglie del muratore che era diventato mago. E ricco. Mentre lei era rimasta povera, e mamma.
Sarebbe bello, a questo punto, poter finire la fiaba come classicamente finiscono le fiabe, e cioè con il lieto fine. Ma, nella realtà da cui è tratta questa storia non vi fu lieto fine. Il muratore/mago, in effetti, dopo moltissimi anni tornò, ma era vecchio e povero, poiché aveva sperperato in modi sconosciuti tutto ciò che aveva guadagnato. E qui, la nostra realtà sembra volersi avvicinare più alla morale di una favola che al lieto fine di una fiaba.