Tanti enigmi ancora avvolgono il caso Moro, nonostante le presunte verità dei dossier acquisiti dallo Stato. A distanza di 40 anni dal rapimento del presidente della Dc da parte delle Brigate Rosse, durante la strage di via Fani, e del suo successivo assassinio sono molti i punti oscuri da chiarire, insieme a documenti e reperti mancanti all’appello da ritrovare, per rendere piena giustizia non solo alla figura di un grande statista italiano, ma anche “di un uomo mite e buono”, come lo definì Paolo VI.
Ne ha dato ampia conferma l’appassionato intervento dell’on. Gero Grassi, vicepresidente del gruppo Pd alla Camera e componente la “Commissione Parlamentare sul caso Moro”, che è stato ospite dell’Aula consiliare del Comune in un incontro sul tema “Chi e perché ha ucciso Aldo Moro” promosso dal Pd col patrocinio dell’Amministrazione comunale..
L’iniziativa ha richiamato un numeroso pubblico ed ha visto gli interventi del sindaco Giovanni Formica, del presidente del Consiglio, Gianfranco Nastasi e del deputato Tommaso Currò. Tutti hanno ribadito come tali fatto di cronaca squarciò la politica negli anni più difficili della Repubblica, dando atto dell’importante lavoro che sta svolgendo la Commissione alla ricerca della verità.
L’on. Grassi con estrema franchezza e con una vivida memoria storica e documentale ha fornito all’attento uditorio una ricostruzione della vicenda Moro, sulla base degli atti giudiziari e parlamentari acquisiti finora dalla Commissione Moro. A partire dai primi piani, poi sventati, di eliminare l’esponente Dc, tra cui anche l’attentato dell’Italicus, treno su cui avrebbe dovuto viaggiare Moro, salito alla stazione di Roma il 4 agosto del 1974, e «fatto scendere da due agenti dei servizi segreti due minuti prima che il treno partisse e poi saltasse in aria per una bomba confezionata – ha rimarcato Grassi – con una polvere pirica che la magistratura ha accertato era in uso ad organizzazione sovrannazionale che all’epoca nessuno conosceva e che si chiama Gladio». E ancora il mistero della dinamica dell’eccidio di via Fani, del comunicato “Br n. 7” redatto, poi si scoprirà, dal capo della Banda della Magliana, il mancato ritrovamento di un’audio cassetta nel covo brigatista di via Gradoli, il mandante dell’omicidio di Roberto Peci, fratello del primo pentito delle Brigate Rosse, i documenti riservati di Moro «mine vaganti – ha evidenziato Grassi – se si considera che tutti coloro che li hanno letti o visti sono morti e non per caso, come il generale Dalla Chiesa e Mino Pecorelli”.
Dalle indagini svolte dall’Onorevole sono emersi inoltre diversi rapporti tra la Mafia siciliana, la Banda della Magliana, le Brigate Rosse e diversi politici di alto rango.
Grassi ha poi concluso il suo intervento ricordando anche la morte del giornalista Peppino Impastato, avvenuta a Palermo lo stesso giorno del ritrovamento del cadavere di Moro.
“Fino a quando sul caso Moro non ci sarà la verità – questa la chiusura del vicepresidente del Pd alla Camera dei Deputati – ognuno di noi sarà in pericolo. Non abbiamo la presunzione di restituirgli al vita ma vogliamo dare giustizia ad un uomo e soprattutto dare ai nostri figli e ai nostri nipoti la speranza di un futuro migliore».