Il nostro comprensorio non è mai stato interessato, prima di questa programmazione in chiusura, dalla metodologia e finanziamenti LEADER in ambito PSR – FEASR. Il GAL Tirrenico, la prima esperienza in questo territorio di redazione e attuazione di una Strategia di Sviluppo di Tipo Partecipativo dal basso (L.E.A.D.E.R – C.L.L.D), a differenza di quasi tanti altri GAL della Sicilia alcuni dei quali giunti al quarto periodo i Programmazione Comunitaria.
“Un territorio di 13 comuni, – scrive in una nota l’Arch. Roberto Sauerborn – solo uno dei quali con una popolazione di ca. 40.000 abitanti mentre gli altri 12 raggiungono, tutti assieme, a malapena 30.000; la prevalenza dei quali sotto i 5.000 abitanti e tra questi alcuni sotto i 1.000, prevalentemente, aree interne.
Le aree interne marginali ed extra-marginali in Sicilia sono in larga parte rappresentate da Comuni con meno di 5.000 abitanti (soprattutto nella parte nord-occidentale dell’isola); piccoli comuni che nell’ultimo ventennio hanno assistito a una progressiva riduzione del numero di residenti che, in alcuni casi, si può considerare vero e proprio spopolamento. Nei quarant’anni compresi tra il censimento del 1971 e quello del 2011, le aree marginali della Sicilia hanno nel complesso perso l’8,1% dei propri abitanti mentre nelle aree extra-marginali la caduta è stata addirittura del 21,1%. Questi dati censuari confermano la tendenza allo spopolamento delle aree marginali, e quindi in larga prevalenza interne, e pongono il problema di quali possano essere le strade per fare fronte alle difficoltà demografiche e socio-economiche dell’entroterra siciliano, dove pure non mancano luci, eccellenze e suggestioni da cui si potrebbe e si dovrebbe ripartire (Etica e Economia, Claudio Novembre 2015).
Il Covid-19, come sappiamo, ha rappresentato una linea temporale di demarcazione tra le preventive prospettive di sviluppo e di investimento dei programmi di crescita della Programmazione Comunitaria e i risultati a consuntivo di quella programmazione con risultati diversi, perché diverse sono le realtà territoriali caratterizzate oltre che da diverse morfologie, anche da diverse sensibilità e maturità economico sociali.
Una linea che, per necessità di bilancio e di obiettivi, si vuole dimenticare ma che, in realtà é un solco profondo che permarrà per decenni e che, nonostante tutti i buoni propositi e la maturata conoscenza che “piccolo è bello e sano”, la riapertura ha già fatto dimenticare non determinandone, nei fatti, una consapevolezza di supporto e di sviluppo sostenibile.
I piccoli comuni fuori dai circuiti turistici, imposti dalle logiche dei numeri, rimangono relegati a romitori, a dormitori, fornitori di “mano d’opera” per i centri più grandi, a paesini della domenica dove fare qualche manifestazione estiva, ammantata da prodotti tipici (spesso nemmeno tali), ma che non risolvono i problemi strutturali per ridare dignità a questi luoghi.
Oltre al fenomeno migratorio, nel Sud e in Sicilia è molto diffuso anche il pendolarismo. Un incremento demografico si è avuto nei comuni che gravitano direttamente sui capoluoghi maggiori, ovvero Catania e Palermo, e in centri che seppur meno importanti, risultano caratterizzati da una particolare dinamicità economica e produttiva.
Siamo in presenza della logica del villaggio turistico che ammalia questi luoghi con un sogno pieno solo di spazzatura da smaltire…
Negli ultimi vent’anni sono emigrati circa 2 milioni e mezzo di cittadini meridionali, oltre uno su dieci residenti nel Mezzogiorno; la continua perdita di giovani generazioni sta condizionando negativamente, assai più che in passato, l’evoluzione demografica di quest’area del Paese. Questa dinamica demografica è strettamente legata alla difficile situazione economica e istituzionale. La struttura produttiva è, ancora oggi, caratterizzata da unità produttive di dimensioni medie assai modeste inoltre, la capacità di attrarre investimenti esteri è debole e le politiche di austerità attuate dallo Stato centrale hanno ripercussioni sugli enti locali tali da consentire al Sud e alla Sicilia di trattenere i giovani dotati di elevato capitale umano.
Il vero fronte di battaglia, quindi, sono i piccoli comuni, come quelli del GAL Tirrenico, territori fragili, con sempre meno competenze spendibili sul mercato del lavoro, spesso caratterizzati da situazioni di isolamento; complessivamente in Sicilia tra il 1991 e il 2011 essi hanno perso ben il 14,3% dei propri residenti, con picchi del -24,4% in provincia di Agrigento e del -17,6% in provincia di Messina. Nel complesso si tratta di una popolazione di 330.410 abitanti nel 2011, di cui quasi 200.000 localizzati nelle province di Messina e Palermo, che con i loro territori montuosi e meno accessibili e con il loro numero elevato di piccolissimi centri, diventano in qualche modo l’epicentro delle criticità demografica dell’Isola.
I piccoli comuni, per sopravvivere o farsi conoscere, sono “costretti” a inventarsi, spesso, espedienti fantastici di un comprensorio, tentando di far credere che il loro prodotto di nicchia possa essere sinonimo di possibile sviluppo e cambiamento mentre, nei fatti, permangono le precedenti condizioni anzi, peggio: si trovano a contrastare a volte fenomeni di depauperamento incontrollati da masse di popolazione fluttuante senza regole che mordono e fuggono…
Assistiamo, spesso inermi, all’accavallarsi di proposte di programmi estivi a cui aggrapparsi e dove ognuno si sforza di apparire e per far credere possibile raggiungere uno sviluppo permanente che, ahinoi, rimane sempre un sogno, quello di prima …
In tutto questo i GAL, spesso creduti come possibili bancomat del territorio per “sovvenzionare” alcune manifestazioni, si sforzano (quando ci riescono) di vestire di “scienza” queste occasioni quale prodotto di scambio per poter proporre iniziative sostenibili. Tutto ciò con la speranza che qualcosa possa avvenire, come a volte avviene, ma dopo decenni di lavoro, di formazione, di diffusione di un nuovo verbo fondato sulla sostenibilità. Non nascondo che, spesso, mi sento come un Don Chisciotte perché non è facile parlare di sostenibilità. E allora, per non sentirci sconfitti, abdichiamo a favore del compromesso sperando che anche una sola lucina, in mezzo al buio dei fuochi pirotecnici, si accenda.
E’ noto a tutti, “che le aree interne della Sicilia, non diversamente da altre aree interne del Mezzogiorno, siano sempre più schiacciate tra marginalità, intesa non solo come lontananza da servizi e funzioni vitali ma anche come carenza di opportunità di lavoro e di vita, e nuovi fenomeni migratori che interessano soprattutto giovani con buona formazione scolastica, di cui quasi la metà è donna” (da Etica ed Economia, ibidem), eppure tale atavica e reale condizione pare utile solo ad essere raccontata, anziché a giustificare e supportare la necessità di strumenti di governo, sviluppo e di intervento differenziati, anzi, direi misurati. E, certamente, tale condizione non è stata superata dagli interventi della Programmazione 2014-2020 che si chiude.
E’ un problema che permane, che non può essere sottaciuto e di cui i governi debbono prenderne atto come condizione di profonda crisi della civiltà moderna a cui non riescono a trovare, proporre una soluzione strutturale.
I GAL si inseriscono in questo percorso quali possibili strumenti di medicina territoriale a cui, purtroppo, non vengono forniti sufficenti presidi sanitari necessari per la cura, nonostante, proprio i GAL, nascano con questo specifico scopo nel lontano 1992, nell’Europa del Nord, dove la consapevolezza di questa condizione è stata motivo e supporto di un concreto sviluppo sostenibile e non di quello che si racconta sui giornali o sui blog per farne rassegna stampa.
I GAL, purtroppo, vengono relegati, a loro volta, a sotto-gruppi di uffici periferici che devono replicare, in piccolo, quello che altri fanno in grande, ma senza autonomia di scelta sulle linee di sviluppo. Qualcuno, ha già deciso cosa devono animare, diffondere e gestire come quando si ha a che fare con il bambino a cui far fare qualcosa pur di toglierselo dai piedi mentre i più grandi fanno le cose serie…
Purtroppo, questo modus operandi spesso trova supporto nella schiera dei primi della classe, in quelli che ragionano con i numeri e che (per non apparire troppo critico) credono nella crescita della spesa e non nello sviluppo, quale senso d’essere parte viva di un luogo.
Tutto questo, ma anche gli ultimi strumenti posti in essere dal governo, come i SIRU, con una assurda ripartizione e aggregazione territoriale secondo regole prettamente statistiche, mi porta alla convinzione che il LEADER dovrebbe essere solo per i piccoli comuni tagliando fuori dalle aggregazioni le grandi realtà urbane al di sopra dei 30.000 abitanti e/o rientranti in aree fortemente urbanizzate: perché la cura deve essere mirata e non generalizzata.
La domanda di fondo da porsi, quindi, è la seguente: le aree interne della Sicilia sono zavorre da lasciare al loro destino senza futuro oppure sono territori, persone, risorse da valorizzare e coinvolgere in un processo di sviluppo dell’isola sempre più inclusivo e di conseguenza più sostenibile, sia sul piano sociale che su quello ecologico-ambientale? La risposta appare scontata e risulta evidente che solo un ripensamento del valore delle risorse, umane, fisiche, immateriali, delle aree interne può rappresentare la base di un tentativo teso a capovolgere uno scenario che al momento si presenta poco incoraggiante e che rileva, nei casi più difficili, una sostanziale scomparsa di interi centri e paesi o la loro trasformazione in “paesi fantasma” con pochissimi residenti e una presenza giovanile esigua nei numeri e con poche competenze attivabili nel mercato del lavoro. (Claudio Novembre, ibidem).
In tutto questo i GAL possono rappresentare la medicina territoriale, ma hanno bisogno di supporto e di non essere pensati e trattati come i figli di un dio minore, ma come supporto concreto per questo ripensamento delle risorse delle aree interne”.