di Antonella Cavallaro.
Una serie di tornanti molto impegnativi colmano il dislivello che collega la valle con l’incantevole borgo di Erice (751 m sopra il livello del mare), sospeso fra le nuvole e che sovrasta la città di Trapani. Finalmente arrivati nel comodo e organizzato Posteggio, acquistata la Carta Ericina che consente di visitare i principali luoghi di interesse della città, iniziamo il nostro cammino.
Ci affacciamo dalla porta di Trapani attraverso le mura ciclopiche sulle stradine di pietra lucida di Erice. ⁹Il culto siciliano della Venere di Erice era diffuso in tutto il Mediterraneo, la città era stata fondata da Eryx re degli Elimi, figlio di Bute e della dea Venere, che avrebbe fatto costruire in onore della madre un tempio in cima al monte San Giuliano.
Erice è posta sulla cima del Monte San Giuliano famoso per la sua salubrità. A quanto pare fra gli abitanti vi sono numerosi centenari, il clima è temperato da nuvole che quasi sempre sono addensate sulla cima del monte, e ciò mantiene una temperatura fresca. Le donne di San Giuliano hanno una singolare bellezza, il cui aspetto fa pensare alle famose sacerdotesse di Venere Ericina, fra le più belle della Sicilia. Sui resti di tale tempio sorge il castello di Venere.
Erice anticamente era conosciuta come città dalle 100 chiese e dei conventi. Il primo edificio che visitiamo è il Duomo, dove si può salire attraverso una stretta scala sulla torre. Appena scesi nelle viuzze ben pulite, incontriamo una bottega artigianale, dove troviamo un antico telaio, qui le mani sapienti e deformate dal lavoro di anni sono utilizzate per intrecciare i fili colorati che creano il motivo caratteristico dei tappeti Ericini. La sorridente signora ci spiega come nasce un tappeto, e ricorda con nostalgia la madre appassionata che le ha tramandato le sue doti artistiche.
Continuando il nostro percorso scopriamo uno dopo l’altro i tesori nascosti di Erice. Varie e preziose opere d’arte sono custodite nelle antiche chiese. Troviamo degli esempi di Ceroplastica, una tipologia di artigianato artistico che ha permesso di far gravitare l’isola in un ambito internazionale per l’unicità dei propri manufatti. La cera era scelta dalle antiche civiltà mediterranee per modellare delle forme umane. Ad Erice la produzione di figure in cera era fatta dalle suore carmelitane del monastero di Santa Teresa fondato nel 1701. A loro si deve un’ampia creazione di strutture in cera che rappresentavano i Santi, la Madonna e Gesù bambino.
Subito sotto il castello di Venere si trova la torretta Pepoli, un edificio privato molto interessante, aperto da non molto tempo al pubblico, sospeso su una roccia. Ma la perla più rara e preziosa che Erice custodisce, è la Fondazione Ettore Maiorana. L’8 maggio 1962, Antonio Zichichi, seduto a un tavolo con due premi Nobel, l’americano Isidor Rabi e l’inglese Patrick Blackett, il direttore del CERN, l’austriaco Victor Weiss Kopf e l’amico londinese John Bell, firmarono il documento in cui ci si poteva riunire una volta l’anno in Sicilia, per dibattere sulle nuove scoperte e confrontarsi sui risultati conseguiti nel corso dell’anno, nel quale non ci si era visti.
Poi nell’agosto del 1982 fu stilato lo storico “Manifesto di Erice” da Paul Dirac uno dei fondatori della meccanica quantistica, Piotr Kapitza e Antonio Zichichi. Da allora il manifesto è stato firmato da oltre 100.000 scienziati in tutto il mondo. Ciò ha dato vita a diverse iniziative per una scienza senza segreti e senza frontiere. Annualmente gli scienziati sentirono l’esigenza di incontrarsi in questo piccolo paradiso silenzioso siciliano, per dibattere sulle loro ricerche, apprendere e confrontarsi. Le scuole aumentarono divenendo più di 100 e gli scienziati presenti diventarono oltre 5000 l’anno.
A Erice si riuniscono ancora oggi per dibattere e ascoltarsi fra di loro e ciò li ispira, illuminandoli sulle prossime scoperte. Negli anni ’80 del secolo scorso Zichichi riuscì a scongiurare il rischio di un conflitto nucleare mondiale e fece sedere i colleghi americani-russi-cinesi ed europei allo stesso tavolo a firmare il “Manifesto di Erice”. In tale documento si chiariva che lo scienziato studia le leggi della natura, per cui deve poter scambiare i risultati cui giunge con i colleghi, a beneficio della conoscenza universale.
Colgo l’occasione per ringraziare l’attento e preparato collaboratore della Fondazione Ettore Maiorana, Antonio Cassaro, per averci consentito di affacciarci su uno dei più bei panorami di Erice da un luogo storico, da dove si sono affacciati i più grandi scienziati del mondo. Naturalmente prima di andare via, non potevamo mancare di assaggiare due specialità del luogo, quale l’Arancina di Sfrigola e la Genovese alla crema, ancora calda, della rinomata pasticceria di Maria Grammatico. Dopo il meritato riposo culinario salutiamo Erice sperando di poterci tornare presto.
(Foto e Testo di Antonella Cavallaro)