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Si chiama Micaela Gelera e, per sei mesi fino a gennaio scorso, ha guidato l’INPS, in qualità di commissario straordinario, indicato dal Ministro del Lavoro, Marina Calderone (Governo Meloni).

Nel suo primo Rapporto annuale, quello relativo ai dati del 2022, avvertiva:

“le regole attuali sull’accesso al pensionamento….penalizzano le classi meno abbienti”.

E ne spiega il motivo: il coefficiente di trasformazione (cioè quel numero che trasforma la somma dei contributi versati nell’importo mensile che percepiscono i pensionati) è uguale per tutti (dirigenti e operai) senza tenere conto dell’aspettativa di vita, che per gli operai sarebbe circa 5 anni inferiore a quella dei dirigenti.

In questo modo, dice Gelera nella sua relazione:  “i più abbienti ottengono pensioni più elevate da quelle che risulterebbero da tassi (di trasformazione) che tengono conto dell’effettiva durata media della loro vita”.

Viceversa, gli importi delle pensioni degli operai sono inferiori a quelli che otterrebbero se il coefficiente tenesse conto della loro purtroppo minore aspettativa di vita.

A questo si aggiunga la criticità dovuta al fatto che le buste paga dei salariati arrivano ad essere 8/10 volte inferiori a quelle dei dirigenti (quando non ancora di più nei casi dei frequenti imposti contratti di lavoro part-time), con i conseguenti minori versamenti contributivi che vanno ad incidere molto negativamente sul calcolo della pensione mensile degli operai.

E allora, si cominci intanto con la modifica normativa necessaria ad eliminare la criticità segnalata dal capo dell’INPS, per poi individuare una politica del lavoro che consenta agli operai una vita dignitosa e serena, con garanzia di pari opportunità per i loro figli.

Ma non solo.

Perché il fatto che l’aspettativa di vita degli operai sia di 5 anni inferiore a quella dei dirigenti deve far scaturire urgenti domande, riflessioni e considerazioni sullo stato dei lavoratori, atte ad individuarne e rimuoverne le cause.