Riceviamo e pubblichiamo integralmente la recensione di Domenico Trovato del fortunato e bellissimo romanzo del Prof. Carmelo Aliberti “Il mio mondo finirà con te”, pubblicato da Lombardo Edizioni di Milazzo. Buona lettura a tutti.
Non c’è nulla di apocalittico né di ineluttabile nella trama di questo romanzo dell’Aliberti come il titolo potrebbe indurre a credere e il lettore lo scoprirà nelle ultime pagine, laddove le due sofferenti “anime” caratterizzanti l’opera, la biografia personale e gli scenari socio-storiografici, si aprono ad orizzonti di gioia e di speranza.
Il “Discorso di Pericle agli Ateniesi”e il dialogo con Anna-colomba, nel mondo bucolico di Don Peppino, ne rappresentano l’inveramento, in una sorta di epifania che affranca dal lutto e dal dolore. E sì, perché centellinando il romanzo, riaffiora il pensoso, a volte addolorato, “sguardo intimo” dello scrittore che descrive un’umanità da un lato materialista, violenta, incline al solipsismo, anaffettiva, dall’altro sempre più fragile, fluida, vulnerabile, che ha il volto di alcuni personaggi che popolano il romanzo: Peppina “a longa”, Micu u suddu”, il giovane geometra, Pippo, il caporale, Alfio di Fantina, Turi Coddulongu, etc..
A bilanciare questo universo di “vinti”, “perdenti”, diremmo con Verga, gli affreschi aperti alla speranza delle vicende personali, scolastiche e non, dello scrittore, impersonato da Carlo, della sua famiglia, quelli del futuro cognato Pino, la dirompente storia sentimentale con Rosa, improvvisamente scomparsa e le amorevoli complicità con Anna, etc.
Sul versante storico il romanzo, nella nuova versione, è tutto un fermento narrativo di
eventi passati e recenti, fino al conflitto Russia-Ucraina, non solo raccontati, ma anche osservati con la lente dell’uomo di pace e di fede, che, dalla parte degli ultimi, non desiste dall’invocare un neo-umanesimo, una cultura antropocentrica, un risveglio dell’umanità sopita, una società del “noi”.
E dove le parole, anche, soprattutto quelle degli intellettuali, che spesso diventano pietre per “ferire” (C. Levi), possano essere “ponti” per unire.
I mediatori narrativi e linguistici dell’opera si traducono in una prosa lessicalmente “lussuosa”, ricca di metafore, con un apprezzabile indice di comprensibilità, scorrevole alla lettura, dal periodare non ridondante. Preziosa la scelta di inserire, in funzione paradigmatica e didascalica, testi musicali e componimenti poetici, anche in dialetto, dello stesso scrittore e di altri noti letterati.
A corollario annotiamo l’impegno civile dell’Aliberti che, tra le righe, lascia sempre trasparire il senso di un’esistenza vissuta nella sfida quotidiana al destino e agli uomini.