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Quante donne violentate nel corpo e nell’anima, ancora oggi, per necessità economiche, non possono allontanarsi dalla casa, da cui vorrebbero fuggire il più lontano possibile?

Oppure, forse ancora peggio, per l’inferno domestico vissuto da troppo tempo, continuano, oramai inconsciamente, un’esistenza grigia, schiacciata, asfittica, che ne vela la loro bellezza e ne spegne la luce degli occhi.

L’odierna ricorrenza della ‘Giornata mondiale contro la violenza sulle donne’, con le conseguenti iniziative (Palazzo Chigi illuminato di rosso per ricordare ‘anche’ le 104 donne ammazzate nell’ultimo anno, come ha voluto specificare la Presidente Meloni), servirà ad una utilissima maggiore sensibilizzazione sull’argomento, che, qui da noi, potrebbe tradursi in pratica, anche nell’immediato, attraverso maggiori stanziamenti per il cosiddetto ‘Reddito di libertà’, già nella prossima legge di bilancio dello Stato, in via di formazione.

Detto Reddito, nato (col DPCM 17/12/2020) per “favorire,   attraverso l’indipendenza economica, percorsi di autonomia  e  di emancipazione delle donne vittime di violenza in condizione di povertà’ “, rischia però, a causa della esiguità delle somme – 400 euro mensili per un solo anno -, di essere sì lodevole nelle intenzioni, ma inefficace nella pratica; dato che dovrebbe prioritariamente servire per le spese per assicurare l’autonomia abitativa e la riacquisizione dell’autonomia personale nonché il percorso scolastico e formativo dei figli minori.

È evidente che tali risorse, sebbene cumulabili con altre misure di sostegno, come ad esempio il tanto bistrattato ‘Reddito di cittadinanza’, non sono sufficienti a permettere ad una donna di poter far fronte alle necessità di una vita autonoma, lontano dal luogo di sofferenza, soprattutto se, a causa del proprio disagio o delle circostanze, come spesso accade, non possa avere un reddito da lavoro soddisfacente.

Se si esclude anche il fatto che tante istanze restano insoddisfatte per mancanza di fondi (si parla di circa la metà).

Forse, il Governo, per la prima volta presieduto da una donna, potrebbe prendere maggiormente a cuore tale questione, rimpinguando adeguatamente l’apposito ‘Fondo’, e consentire davvero a queste donne di ritornare alla vita e, a volte, sfuggire alla morte.

È utile ricordare che il contributo è concesso dall’INPS alle donne, che hanno subito violenza e si trovino in condizioni di particolare vulnerabilità o in condizione di povertà, in base alle dichiarazioni fornite dal servizio sociale (che forse potrebbe essere meglio organizzato per essere più attento a tali bisogni) con domanda presentata per il tramite del Comune competente per residenza, utilizzando l’apposito modello.

Luigi Politi